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Lu Paulinu Programma Ventennale Convegno Lu Paulinu a Scuola Video Info Stampa
 

 

Domenica 12 febbraio

Parco Turistico Culturale Palmieri – ORE 19.00

 

Convegno e Mostra fotografica

“La Morte nei riti della Grecìa Salentina e nella sua trasposizione tragicomica con “La Morte te Lu Paulinu”

A cura dell'Associazione Salento Griko

 

A seguire intervento musicale della Compagnia Arakne Mediterranea

 

Gli appuntamenti legati alla Morte de lu Paulinu si apriranno Domenica 12 febbraio con un Convegno, dai toni mai troppo seri che, partendo dall’analisi degli usi e costumi, soprattutto musicali, dei riti funebri in Grecìa Salentina, spazieranno alla trasposizione tragicomica che ne fa lu Paulinu, con la sottolineatura del ruolo dei chiangimorti, del pasto consolatorio offerto ai congiunti (lu consulu), ecc. Un percorso che sarà arricchito dalla proiezione del video “Stendalì – suonano ancora” di Cecilia Mangini, con testi di Pierpaolo Pasolini, allegato al testo “Stendalì - canti e immagini della morte nella Grecìasalentina” a cura di Mirko Grasso per Kurumuny edizioni.

 

Tale percorso sarà sottolineato anche in chiave fotografica con una mostra che resterà aperta fino al 21 febbraio 2012 nella sala conferenze del Parco Turistico Palmieri.

 

Al convegno prenderanno parte:

-          - Silvano Palamà, Presidente dell’Associazione culturale Ghetonìa

-          - Luigi Chiriatti, responsabile scientifico di Kurumuny edizioni

-          - Antonio Apostolo, organizzatore de La Morte de lu Paulinu

-          - Pantaleo Rielli, Presidente dell’Associazione Salento Griko

-          - Luigi Calò, nella doppia veste di Paulinu e Nina Sconza

-          - Luigino Sergio, Sindaco di Martignano

 

A seguire la Compagnia Arakne Mediterranea eseguirà un canto di morte (moroloja) ed alcuni brani della tradizione musicale salentina.

 

 

Prefazione del volume "Vi lassu caramelle cusì sucati tutti"

 

Carnevale smaschera

Eugenio Imbriani

 

«Culum do sufflantibus»: capisco che non è proprio elegante cominciare un articolo in questo modo, ma questo verso di un vecchio testamentum asini carnevalesco (risalente a oltre cinquecento anni fa) ha costituito un problema per i commentatori. Un asino muore e, mosso dai pianti del contadino, risorge, sia pure solo per il tempo necessario a dettare il testamento; lo dico di passaggio: un asino che muore e risorge ha di per sé contenuti parodistici molto evidenti, ma lasciamo questo tema, per fermarci brevemente sull’altro. L’asino lascia le parti del suo corpo a varie categorie di persone, i denti ai ghiottoni, le zampe agli zoppi…, il culo ai soffiatori; che significa, chi sono costoro? Il riferimento è quasi certamente a una pratica giocosa che prevedeva l’insufflazione di aria nel deretano di un asino, o di qualche volontario, con un soffietto, o con qualche altro sistema, con lo scopo di costringerlo a produrre peti e, burlescamente, a ripopolare di anime l’ambiente circostante, quasi in sostituzione di quelle che sono andate perdute nei mesi precedenti.

 

In quest’ottica i peti avrebbero una formidabile forza generatrice. Quando oggi pensiamo al carnevale quasi mai arriviamo ad immaginare tali forme espressive di un radicale ribaltamento dei valori attribuiti ai comportamenti; invece, testimonianze più antiche ci mettono di fronte a situazioni, atti, credenze difficili da decifrare proprio a causa della distanza storica e culturale che ci troviamo a misurare. Il carnevalesco è una categoria che dà rilievo all’esibizione di quelle manifestazioni corporee solitamente tenute nascoste, riservate a momenti privati, la sessualità, la defecazione, e inoltre il mangiare eccessivo, l’emissione dei rumori della digestione.

Come è noto, secondo Michail Bachtin, Gargantua e Pantagruel di Rabelais costituisce il più fulgido esempio della regola che prevede il capovolgimento di quanto nella vita sociale quotidiana, civile e religiosa, familiare, personale, conta, al di fuori del circoscritto spazio festivo.

 

Ecco cosa combina Pantagruel nel capitolo XXVII del secondo libro, dopo aver abbondantemente mangiato e bevuto: «fu tale il suo peto che fece tremare la terra nove leghe all’intorno e l’aria ne fu corrotta; e da quello generò più di cinquantatremila omettini nani e mostruosi, e da una vescia generò altrettante donnettine, rattrappite come se ne vedono in molti luoghi, che mai non crescono se non come la coda delle vacche in altezza, o come le rape del Limosino in rotondità»; una vescia, per chi ama queste sottigliezze, è un peto non sonoro.

 

Un formidabile, coltissimo, scrittore aiuta a comprendere una pratica per noi piuttosto oscura, usando strumenti che alla cultura popolare attingono e raccontando storie che indubbiamente potevano far ridere, ma nella stesso tempo incontravano sensibilità e livelli di comprensione diffusi: d’altronde la satira, il sarcasmo, per aggressivi che possano essere, non servono a nulla se non sono compresi. Mi pare che, se un elemento caratterizza il carnevale di Martignano, è proprio la prossimità a questo spirito così fortemente dissacratore, che riguarda tutti gli aspetti della vita quotidiana, alla quale, per così dire, toglie la maschera un po’ ipocrita del si fa ma non si dice, della facile indignazione, dello scandalizzarsi un poco, del provare pietà per i poveri disperati neri di Haiti ed averne assai meno quando quelli stessi si siano trasferiti in Calabria o in Puglia o nei pressi delle nostre abitazioni. Un carnevale che smaschera: è il segno più forte della volontà e della necessità di un capovolgimento di ruoli e di desideri di scuotere le coscienze assopite.

 

Sponsor ufficiale de la Morte de lu Paulinu

 

 

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Info: Front Office Turistico Culturale SALENTO GRIKO

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